Una mutilazione che lascia cicatrici indelebili, nel corpo e nell’anima delle donne. Il termine “infibulazione” deriva dal latino fibula, la spilla usata per tenere fermo il mantello. Purtroppo ad essere tenuti fermi non sono due lembi di tessuto ma si tratta della cucitura dei genitali, più precisamente della vulva, infatti è praticata esclusivamente sulle donne, […]
Una mutilazione che lascia cicatrici indelebili, nel corpo e nell’anima delle donne.
Il termine “infibulazione” deriva dal latino fibula, la spilla usata per tenere fermo il mantello. Purtroppo ad essere tenuti fermi non sono due lembi di tessuto ma si tratta della cucitura dei genitali, più precisamente della vulva, infatti è praticata esclusivamente sulle donne, da bambine. L’infibulazione è praticata in 40 paesi del mondo e non riguarda solo poche donne che vivono in sperduti villaggi, ma, nel XXI secolo, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) riporta che sono più di cento milioni di donne a subirla. Anche quelle che abitano in grandi metropoli. E ogni anno si registrano due milioni di casi in più.
Con l’infibulazione la vagina della bambina viene cucita circa a metà delle grandi labbra, lasciando solo un piccolo foro per l’urina e uno per il flusso mestruale. Prima del matrimonio la cicatrice sarà tagliata, per permettere il rapporto sessuale e il parto, ma dopo ogni gravidanza viene eseguita una nuova infibulazione.
A seconda delle tradizioni, può essere asportata anche il clitoride, le piccole labbra e parte delle grandi. L’infibulazione in passato (ma ancor oggi nelle zone meno civilizzate) era praticata senza anestesia e la bimba veniva immobilizzata e tenuta con le gambine aperte. Gli “attrezzi” che si usavano erano: coltelli, pezzi di vetro o lamette per tagliare, spine di acacia per suturare e cannucce di bambù per formare le aperture.
I canti coprivano le urla e dopo la sutura, le gambe venivano legate fino a quando la ferita non si richiudeva.
La pratica, già di per se invasiva, e la mancanza di igiene trasformava il periodo che ne seguiva in un crescendo di atroci sofferenze. Il dolore delle donne che hanno subito e subiranno questa violenza è stato e sarà il compagno della loro vita. Le normali funzioni del corpo diventeranno molto difficili e le infezioni si susseguiranno continue, la maternità si trasformerà in un’esperienza molto difficile.
Essa viene praticata prevalentemente su bambine e adolescenti, in un’età che va dai 3 mesi ai 15 anni. Ha origini molto antiche, infatti è nata circa 4.000 anni fa nei paesi del Medio Oriente e del nord Africa, viene ancor oggi eseguita prevalentemente nei paesi musulmani (non in tutti). Molto diffusa nelle zone dell’Africa sub-sahariana, in quasi tutta l’Africa occidentale, nella parte meridionale della penisola araba e in alcune aree del sud-est asiatico e dell’America del Sud. Le donne che appartengono a queste culture di solito non rifiutano l’infibulazione, anzi sono complici nel trasmetterla alle figlie. La mutilazione genitale viene eseguita dalle stesse donne su altre donne.
Ecco come racconta la sua terribile esperienza Hirsi Alip
“Poi toccò a me. Ormai ero terrorizzata.
– Quando avremo tolto questo “kintir” (clitoride) tu e tua sorella sarete pure.- Dalle parole della nonna e degli strani gesti che faceva con la mano, sembrava che quell’orribile kintir, il mio clitoride, dovesse un giorno crescere fino a penzolarmi tra le gambe. Mi afferrò e mi bloccò la parte superiore del corpo … Altre due donne mi tennero le gambe divaricate. L’uomo che era un cinconcisore tradizionale appartenente al clan dei fabbri, prese un paio di forbici. Con l’altra mano afferrò quel punto misterioso e cominciò a tirare…Vidi le forbici scendere tra le mie gambe e l’uomo tagliò piccole labbra e clitoride. Sentii il rumore, come un macellaio che rifila il grasso da un pezzo di carne. Un dolore lancinante, indescrivibile e urlai in maniera quasi disumana. Poi vennero i punti: il lungo ago spuntato spinto goffamente nelle mie grandi labbra sanguinanti, le mie grida piene di orrore … Terminata la sutura l’uomo spezzò il filo con i denti…Ricordo le urla strazianti di Haweya, anche se era più piccola, aveva quattro anni, scalciò più di me per cercare di liberarsi dalla presa della nonna, ma servì solo a procurarlo brutti tagli sulle gambe di cui portò le cicatrici tutta la vita.
Mi addormentai, credo, perché solo molto più tardi mi resi conto che le mie gambe erano state legate insieme, per impedire i movimenti e facilitare la cicatrizzazione (dato che c’è stata una perdita di sostanza, clitoride e piccole labbra, le gambe legate insieme permettono la cicatrizzazione, ma la cicatrizzazione avviene in retrazione. Non c’è più tutto il tessuto necessario perché le gambe possano essere divaricate completamente. Nessuna farà più la spaccata. Anche dare un calcio a un pallone può essere impossibile, come andare a cavallo o, nei casi più gravi, nuotare a rana. Nei casi più gravi, dove infezioni riducono ulteriormente il tessuto, le donne non possono più divaricare le gambe per accovacciarsi e urinare e, dove non esistono water, devono urinare dalla posizione in piedi con l’orina che scola tra le gambe, scola un filino alla volta, una goccia alla volta.) Era buio e mi scoppiava la vescica, ma sentivo troppo male per fare pipì. Il dolore acuto era ancora lì e le mie gambe erano coperte di sangue. Sudavo ed ero scossa dai brividi. Soltanto il giorno dopo la nonna mi convinse a orinare almeno un pochino. Oramai mi faceva male tutto. Finché ero rimasta sdraiata immobile il dolore aveva continuato a martellare penosamente, ma quando urinai la fitta fu acuta come nel momento in cui mi avevano tagliata. Impiegammo circa due settimane a riprenderci. La nonna accorreva al primo gemito angosciato. Dopo la tortura di ogni minzione ci lavava con cura la ferita con acqua tiepida e la tamponava con un liquido violaceo, poi ci legava di nuovo le gambe e ci raccomandava di restare assolutamente ferme o ci saremmo lacerate e allora avrebbe dovuto chiamare quell’uomo a cucirci di nuovo. Lui venne dopo una settimana per esaminarci. Haweya doveva essere ricucita. Si era lacerata urinando e lottando con la nonna…L’uomo ritornò a togliere il filo dalla mia ferita. Ancora una volta furono atroci dolori per estrarre i punti usò una pinzetta. Li strappò bruscamente mentre di nuovo la nonna e altre due donne mi tenevano ferma. Ma dopo questo anche se avevo una ruvida spessa cicatrice tra le gambe che faceva male se mi muovevo troppo, almeno non fui più costretta a restare sdraiata tutto il giorno con le gambe legate. Haweya dovette attendere un’altra settimana e ci vollero quattro donne per tenerla ferma… Non dimenticherò mai il panico sul suo viso e nella sua voce…Da allora non fu più la stessa…aveva incubi orribili. La mia sorellina un tempo allegra e giocosa cambiò. A volte si limitava a fissare il vuoto per ore. (svilupperà una psicosi) … cominciammo a bagnare il letto dopo la circoncisione.”
– Hirsi Alip
Fonte:http://simonaoberhammer.com/, Wikipedia, www.ilmessaggero
E' severamente vietato copiare i contenuti de "La Nona Porta" senza citare la fonte.