Queste immagini fanno sorgere inevitabilmente un interrogativo. Cosa ci fanno relitti di imbarcazioni nel deserto? No, nessuno ha deliberatamente trasportato i mezzi in disuso in questa landa desertica: semplicemente non sono mai stati rimossi dalle acque che popolavano. Le fotografie scattate da Hélène Veilleux rappresentano infatti quel che è rimasto del lago d’Aral, meglio noto […]
Queste immagini fanno sorgere inevitabilmente un interrogativo. Cosa ci fanno relitti di imbarcazioni nel deserto? No, nessuno ha deliberatamente trasportato i mezzi in disuso in questa landa desertica: semplicemente non sono mai stati rimossi dalle acque che popolavano.
Le fotografie scattate da Hélène Veilleux rappresentano infatti quel che è rimasto del lago d’Aral, meglio noto come mare d’Aral. Quest’ultimo appellativo è dovuto alla sua immensità: il lago copriva con le sue acque una superficie di 68mila chilometri quadrati. Per dare un’idea, una superficie simile a quella di Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia messi insieme.
Come vedete, della sua fertilità è rimasto ben poco. Secondo i dati ufficiali – risalenti al 2007 – solo 10% delle sue acque sono sopravvissute al disastro ambientale causato dall’uomo. Esatto, la responsabilità per il prosciugamento quasi totale è da attribuire alle nostre stesse mani.
Le popolazioni che circondano l’Aral hanno infatti preferito alla conservazione di questa fonte unica gli interessi economici prodotti dalla coltivazione delle piante da cotone. Per irrigare gli estesi campi, tutti i paesi attraversati dai fiumi immissari hanno costruito deviazioni che man mano interrotto completamente il flusso delle acque.
Rimasto ormai a secco, l’evaporazione ha inferto il colpo fatale.
Il disastro ambientale è talmente evidente da non richiedere ulteriori spiegazioni. Negli anni si sono susseguiti diversi progetti per restituire le acque artificialmente sottratte alla natura, nonostante ciò manca un elemento fondamentale affinché queste idee possano concretizzarsi: la volontà dell’uomo.
C’è un unico modo per ristabilire un minimo equilibrio in quest’area, ossia la rimozione delle deviazioni costruite in Uzbekistan, Kazakistan, Afghanistan e Turkmenistan – per nominare solo alcune delle nazioni che vedono il passaggio dei fiumi immissari del lago d’Aral.
Mettere d’accordo tutti i territori coinvolti risulta praticamente impossibile, sempre che ce ne sia qualcuno realmente interessato all’impresa. Il commento della fotografa Hélène Veilleux è abbastanza esplicativo:
E' severamente vietato copiare i contenuti de "La Nona Porta" senza citare la fonte.Ci hanno detto che il mare era andato ben oltre l’orizzonte, lasciando nella sua fuga disperata un terreno e dal sapore di sale e sabbia e gli scheletri di alcune barche che offrono le loro ombre di animali stanchi all’infinito della steppa.
Aral…il suo nome è famoso. L’immenso lago di acqua salata ha lasciato il posto a una pianura marziana cotta dal sole dell’Asia centrale, un mare offerto in nome della Shoah della coltivazione del cotone e della politica delle nazioni bagnate dalle sue acque.
Ci hanno detto che il mare tornerà, e che le sue acque blu saranno meno salate delle lacrime e con più pesci di quelli dei nostri ricordi. Fino ad allora rimaniamo in attesa all’ombra delle barche…