Non ci abitueremo mai alle immagini risalenti ai campi di concentramento nazisti, dove fin troppe persone hanno incontrato un tragico destino comune. E l’angoscia aumenta nel sapere che tra le innocenti vittime del regime di Adolf Hitler vi erano anche donne incinte, rinchiuse nei lager e lasciate a perire insieme ai loro bambini – almeno […]
Non ci abitueremo mai alle immagini risalenti ai campi di concentramento nazisti, dove fin troppe persone hanno incontrato un tragico destino comune. E l’angoscia aumenta nel sapere che tra le innocenti vittime del regime di Adolf Hitler vi erano anche donne incinte, rinchiuse nei lager e lasciate a perire insieme ai loro bambini – almeno quelli abbastanza “fortunati” da nascere vivi.
Qualcosa cambiò per queste donne con l’arrivo di Stanislawa Leszczyńska, una levatrice polacca costretta ad assistere prima all’assassinio del marito, poi alla deportazione dei figli, infine alla sua. Senza alcuna speranza di sopravvivere, la sua permanenza nei campi di sterminio trovò presto un senso.
Di fronte al numero sempre crescente di donne incinte, denutrite e dimenticate in quel lugubre ambiente, la levatrice si rimboccò le maniche e riprese la sua attività nei limiti delle condizioni offerte dai nazisti.
Stanislawa organizzò i dormitori in modo da riservare le aree più calde alle donne incinte, dunque le assisteva durante tutto il periodo della gravidanza, talvolta prendendo decisioni dolorose per le madri ma necessarie per la sopravvivenza dei nascituri.
Nelle ultime settimane di gestazione, la levatrice riusciva ad ottenere lenzuola e tessuti puliti che in seguito sarebbero serviti a proteggere il neonato: ciò avveniva attraverso scambi con le altre detenute, spesso resi possibili dalla rinuncia della futura madre alla propria razione di pane.
Ma i sacrifici compiuti dalle donne dietro la severa supervisione di Stanislawa Leszczyńska trovavano la loro contropartita nel momento del parto, quando i piccoli potevano essere accuditi e protetti grazie alla dedizione della levatrice nel prevedere i bisogni dei nuovi arrivati e soprattutto nel gestirli in quelle infime condizioni.
Come raccontato dalla stessa Leszczyńska e dalle altre detenute sopravvissute allo sterminio, durante la permanenza della levatrice polacca nacquero circa 3.000 bambini nessuno dei quali morì durante o in seguito al parto, anche se molti deperirono lentamente a causa della malnutrizione, alla quale né Stanislawa né le altre detenute potevano far fronte.
Le sue abilità di levatrice le costarono tuttavia una particolare attenzione da parte dei nazisti, i quali le chiesero di assistere al parto delle donne ma con lo scopo di uccidere i bambini che sempre più numerosi nascevano vivi.
La polacca si rifiutò e l’incarico venne assegnato ad un’altra detenuta, anche se molti bambini venivano selezionati in base al loro aspetto e al loro stato di salute per poi essere spediti in orfanotrofi, destinati all’adozione da parte di famiglie tedesche. Fu così che Stanislawa cominciò a tatuare discretamente i neonati, con la speranza che un giorno potessero ricongiungersi con le proprie madri.