Il Cristianesimo, la religione più diffusa al mondo originatasi dal giudaismo, ha come figura fondamentale Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, oggetto di venerazione e di culto in Occidente da quasi 2.000 anni, al punto che le sue azioni (correttamente attribuitegli o meno) hanno costituito la base di molti movimenti religiosi. La diffusione del Cristianesimo, […]
Il Cristianesimo, la religione più diffusa al mondo originatasi dal giudaismo, ha come figura fondamentale Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, oggetto di venerazione e di culto in Occidente da quasi 2.000 anni, al punto che le sue azioni (correttamente attribuitegli o meno) hanno costituito la base di molti movimenti religiosi. La diffusione del Cristianesimo, a volte tramite un devoto lavoro missionario e talvolta grazie a metodi più discutibili, ha fatto sì che milioni di persone, in società diverse, abbiano immaginato la figura di Gesù a propria immagine.
Fare questo è relativamente semplice, visto che il Nuovo Testamento non contiene alcuna descrizione dell’aspetto fisico di Gesù. Seguendo i dati demografici dei luoghi dove nacque e visse secondo la narrazione dei Vangeli, certamente non poteva essere di razza bianca/ariana.
Eppure oggi noi lo immaginiamo esattamente in questo modo. Come mai? Per quanto se ne sappia, non esistono raffigurazioni di Gesù antecedenti al secondo secolo. Questo può essere spiegato, oltre che per il tradizionale divieto ebraico di raffigurare la divinità, anche per le persecuzioni a cui i cristiani furono sottoposti durante l’impero romano: essere un seguace di Gesù non era all’epoca cosa raccomandabile, e così fu almeno sino all’inizio del quarto secolo. Fino ad allora, per rappresentare Cristo si usavano dei simboli, come ad esempio il pesce,ichthys in greco, parola che è l’acronimo di Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore.
In questo contesto diventa forse comprensibile come, quella che probabilmente è la prima raffigurazione di Gesù Cristo, il Graffito di Alessameno, o graffito blasfemo del Palatino, sia in realtà un graffito satirico, ritrovato a Roma nel 1857 durante gli scavi del Paedagogium, una sorta di collegio di epoca domizianea. Si tratta di una raffigurazione irridente del culto di Cristo. La scritta in greco recita: “Alessameno venera [il suo] dio”.
Vere e proprie raffigurazione di Gesù cominciamo a comparire attorno al terzo secolo.
In questo affresco, che si trova nelle catacombe di San Callisto a Roma, Gesù è rappresentato come un buon pastore, con la pelle olivastra, vestito secondo le usanze romane del III secolo e senza barba, cosa comune tra i Romani dell’epoca, ma inusuale per gli uomini della Giudea.
Già in questa immagine, forse la più antica raffigurazione di Cristo che ci sia rimasta, Gesù è chiaramente dipinto come se fosse stato un romano di origine italiana o greca. La cosa può sembrare scorretta ai nostri occhi, ma ricordiamo che fino ad allora Gesù era stato rappresentato solo da simboli astratti o arcane combinazioni di lettere. In un certo senso, come fosse Gesù realmente era probabilmente irrilevante per le persone che si incontravano sotto questo affresco. Ciò che era importante era l’unione spirituale che sentivano con lui e gli uni con gli altri. Dopo la conversione di Costantino, agli inizi del IV secolo, i cristiani poterono uscire dalla clandestinità. Non solo, si aprirono loro le strade verso il potere politico ed economico, ambedue in grado di influenzare notevolmente l’arte.
Questo affresco è stato dipinto in una villa che apparteneva a Costantino stesso, ed è stato probabilmente realizzato da un artista molto apprezzato all’epoca. La maggior parte degli elementi della tradizionale iconografia cristiana sono già presenti: Gesù con l’aureola è in alto, al centro della composizione, seduto in trono tra Pietro e Paolo, le dita sono rappresentate nell’atto di benedire, ed è chiaramente di razza europea. Ogni figura indossa un abito di foggia greca, e Gesù ha i capelli mossi e la barba fluente, come siamo ancora abituati a vederlo rappresentato oggi, 1700 anni dopo.
Le caratteristiche che connotarono le immagini di Gesù nella chiese romane e bizantine – l’aureola, la mano benedicente, e la pelle bianca – si radicarono a tal punto che si diffusero anche in Medio Oriente come tratti inconfondibili di Cristo, anche tra le persone di pelle scura, da cui forse ci si sarebbe potuto aspettare che adorassero un Salvatore più “mediterraneo”.
Il modo di rappresentare Gesù non è molto cambiato nel corso dei secoli, probabilmente per due motivi: il conservatorismo delle autorità religiose, e la necessità da parte degli artisti di vendere il proprio lavoro.
Le autorità ecclesiastiche sono state storicamente resistenti a qualsiasi tipo di cambiamento, soprattutto durante il medioevo. Questa tendenza ha esercitato una forte pressione sui giovani e ambiziosi artisti, che probabilmente non volevano essere mandati al rogo per eresia, ma sicuramente volevano raggiungere il pubblico, e raccontare una storia con il proprio operat, grazie ad una pittura di ampia diffondibilità. Che si tratti di un rapido schizzo, un pavimento a mosaico, o il Cristo benedicente di Raffaello, le sembianze simili di ogni Gesù rappresentato hanno reso più facilmente raggiungibile un pubblico di massa, soprattutto in un momento di analfabetismo generale.
Ancora oggi, anche in un mezzo di diffusione moderno come può essere il cinema, l’immagine di Gesù è sempre rappresentata da un bianco: tra i tanti artisti che lo hanno impersonato, solo Haaz Sleiman in “Uccidere Gesù” è di origine libanese, un po’ più vicino alle reali origini di Gesù.
In questo particolare momento storico può essere fastidioso sottolineare, come fanno alcuni “puristi”, che probabilmente Gesù assomigliava più ad Osama Bin Laden che alle classiche immagini iconografiche che da secoli lo rappresentano ma, altrettanto probabilmente, i milioni di fedeli cristiani difficilmente si abituerebbero ad un Gesù diverso da quello conoscono da così tanto tempo.
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