Se grazie a una macchina del tempo si potesse visitare il Royal Hospital Bethlem del 15° secolo, si potrebbe pensare di assistere a una scena di “American Horror Story“. Il Bethlem era l’unica istituzione in Europa che ricoverava le persone respinte dalla società, cioè chi aveva problemi mentali o anche penali. Il termine “bedlam“, definizione di […]
Se grazie a una macchina del tempo si potesse visitare il Royal Hospital Bethlem del 15° secolo, si potrebbe pensare di assistere a una scena di “American Horror Story“. Il Bethlem era l’unica istituzione in Europa che ricoverava le persone respinte dalla società, cioè chi aveva problemi mentali o anche penali. Il termine “bedlam“, definizione di “caos e confusione”, é stato coniato nella lingua inglese come storpiatura di Bethlem, proprio per descrivere l’asilo reale, durante il periodo più oscuro che ha attraversato, nel 18° secolo. Durante quel periodo i pazienti venivano sottoposti a crudeltà orrende, sperimentazioni e umiliazioni. Fondato nel 1247, fu il primo ospedale del suo genere nel Regno Unito: non esisteva precedentemente un luogo dove rinchiudere, lontano dalla società, malati di mente, disabili o criminali con problemi psichici. Si poteva essere ricoverati per “mania cronica” o “acuta malinconia“, ma anche per aver commesso reati come l’infanticidio, l’omicidio o la “brutalità”.
Eliza Camplin, ricoverata per mania acuta.
Elizabeth Thew, ricoverata dopo aver commesso un infanticidio.
Essere ricoverato a Bedlam non significava in nessun modo intraprendere un percorso di riabilitazione, dal momento che “il trattamento” implicava poco più che isolamento e sperimentazione. I pazienti sono stati sottoposti a “trattamenti” come “la rotazione terapia“, in cui erano seduti in una sedia sospesa dal soffitto e fatti roteare fino a 100 giri al minuto. Lo scopo evidente era quello di provocare il vomito, unapopolare cura purgante per la maggior parte dei disturbi durante quel periodo. Gli “ospiti” venivano legati al muro con una catena di ferro, agganciata ad un braccio, a una gamba, o addirittura al collo e alla vita. Alcuni pazienti hanno trascorso decine di anni in queste condizioni.
George Johnson, colpevole di omicidio.
Al di là di costumi sociali del tempo, la mancanza di fondi spiega il motivo per cui l’ospedale divenne Bethlem Bedlam. L’asilo era un’istituzione governativa scarsamente finanziata, fortemente legata al sostegno economico delle famiglie dei pazienti e di donatori privati. Naturalmente la stragrande maggioranza di coloro che si trovava a Bedlam non proveniva da famiglie ricche, o anche solo dalla classe media. I pazienti erano spesso poveri, ignoranti e vittime non solo dell’infermità mentale, ma anche di una società che li respingeva.
Harriet Jordan, ricoverata per mania acuta.
A partire dal 18° secolo, per ovviare alla mancanza di fondi, Bedlam diventò più un baraccone da circo che un ospedale: la gente veniva da tutto il Regno Unito per vedere i pazienti, pagando un biglietto d’ingresso, tanto che l’ospedale divenne una delle maggiori attrazioni di Londra, dopo l’Abbazia di Westminster e Buckingam Palace. Attorno alla metà del 1800, un uomo di nome William Hood divenne il medico responsabile a Bedlam, affermando di voler creare programmi di riabilitazione veri, che servissero ai pazienti dell’ospedale, piuttosto che agli amministratori. I “Bedlamites”, come sono stati soprannominati, sono stati sottoposti a trattamenti orribili, sia per sperimentazione ma anche solo per crudeltà, e suscitavano interesse unicamente per lo studio dei loro cadaveri, che venivano poi gettati in una fossa comune a Liverpool Street, scoperta solo pochi anni fa.
Hannah Still, ricoverata per mania cronica e deliri.
Durante gli anni tra le due guerre mondiali, il Bethlem Royal Hospital fu spostato in una località più decentrata e rurale, anche per migliorare la qualità della vita dei pazienti. La mossa ha anche aiutato l’istituzione a liberarsi dalla sua orrenda fama. Grazie al Museum of the Mind, oggi possiamo vedere le fotografie di alcuni dei Bedlamites: molti di loro furono fotografati al momento del ricovero, con appena una nota o due sulle loro condizioni, e guardando queste foto oggi, viene spontaneo chiedersi quanti di questi pazienti siano sopravvissuti a Bedlam.