I primi a raggiungere la vetta dell’Everest, a ben 8.848 metri di altitudine, furono Edmund Hillary e e Tenzing Norgay nel 1953. Nella storia è inscritto anche il nome di Juno Tabei, prima donna ad arrivare sul punto più alto del mastodontico monte nell’anno 1975. Notizie che oggi non stupiscono più di tanto, eppure […]
I primi a raggiungere la vetta dell’Everest, a ben 8.848 metri di altitudine, furono Edmund Hillary e e Tenzing Norgay nel 1953. Nella storia è inscritto anche il nome di Juno Tabei, prima donna ad arrivare sul punto più alto del mastodontico monte nell’anno 1975. Notizie che oggi non stupiscono più di tanto, eppure principale caratteristica di questo luogo impervio è la Death Zone, zona della morte, ossia un cimitero a cielo aperto che ancora oggi continua mietere decine di vittime.
È il 2006 quando un gruppo di quaranta scalatori, tutti impegnati in una spedizione per raggiungere la gloriosa meta, riesce a raggiungere il Campo IV a circa un chilometro dalla vetta, il tratto che rappresenta una sfida ad esito incerto anche per gli alpinisti più esperti.
Qui si trova una sporgenza calcarea tristemente nota dal 1996, quando l’uomo oggi soprannominato Green Boots, stremato dalla fatica e dalla rarefazione dell’ossigeno che rende difficoltoso perfino respirare, rimane bloccato in quel punto che rappresenterà la sua eterna tomba.
Ed è proprio in questa sporgenza che il numeroso gruppo di scalatori si ritrova di fronte ad un’amara sorpresa: Green Boots non è più solo, ha trovato un compagno. A pochi metri dai resti del suo corpo vi è infatti rannicchiato un altro uomo; ha il volto completamente coperto nella speranza di proteggersi dalle basse temperature ma è possibile intravedere il suo naso, quasi congelato ma che tuttavia rilascia visibilmente del vapore generato dal respiro. L’uomo è ancora vivo.
Be’, per quell’uomo l’arrivo dei 40 alpinisti non fu affatto una fortuna, infatti nessuno di loro tentò di salvare David Sharp, che morì di li a poco.
Tra una versione e l’altra, alcune discordanti altre meno, è comprensibile in fondo la reticenza dei suoi colleghi di tentare un salvataggio il cui esito è già scritto dal destino di Green Boots e dei 216 scheletri sparsi qua e là nella Death Zone, resti che nessuno mai recupererà. Anche se in realtà un tentativo fu compiuto: due uomini tentarono nel 1984 di recuperare il corpo di Hannelore Schmatz, morta dalla fatica dopo la conquista della vetta. Come l’uomo dagli stivali verdi, anche lei ora ha dei compagni di viaggio.
La Nona Porta
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