Il nome di Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee, è ricorrente nella cultura popolare nonostante siano ormai trascorsi più di venti anni dal suo ultimo crudele omicidio. Uno dei tanti, perché il biondo dal viso angelico ha una lunga carriera di serial killer alle spalle. Nato nel 1960 nel Wisconsin, Jeffrey appariva come un bambino […]
Il nome di Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee, è ricorrente nella cultura popolare nonostante siano ormai trascorsi più di venti anni dal suo ultimo crudele omicidio. Uno dei tanti, perché il biondo dal viso angelico ha una lunga carriera di serial killer alle spalle.
Nato nel 1960 nel Wisconsin, Jeffrey appariva come un bambino qualunque eppure si differenziava per una sua strana passione. All’età di 6 anni cominciò infatti a conservare resti di animali morti che si premurava di seppellire nel bosco appena dietro casa.
A 16 anni il liceale beveva un po’ troppo ma, in fondo, chi non lo faceva alla sua età? Finita la scuola tuttavia non finirono i problemi: l’unica maturità conquistata fu quella della sua perversione. Quest’ultima fu messa in atto per la prima volta a 18 anni, quando prelevò per strada un autostoppista, lo portò a casa e, dopo un rapporto sessuale, decise di colpirlo, strangolarlo, smembrarlo e di seppellirne il cadavere insieme ai suoi animali morti, nel bosco.
Sulla spinta del padre si arruolò nell’esercito, dal quale venne presto espulso a causa di un alcolismo sempre più ingombrante. Fu costretto ad andare a vivere dalla cara nonna, che tuttavia lo cacciò a causa degli strani rumori e della nauseante puzza proveniente dalla cantina.
La vecchietta non sapeva che la sua cantina si era trasformata in un macello di carne umana. Jeffrey Dahmer aveva iniziato in quel periodo una vera e propria carneficina di ragazzi, quasi tutti adescati in bar frequentati da omosessuali.
Il modus operandi era sempre lo stesso. Il mostro di Milwaukee si fingeva fotografo, convinceva le sue giovani vittime (il più piccolo aveva solo 14 anni) ad andare a casa sua (cioè della nonna) per un servizio fotografico o per avere rapporti sessuali, i quali in realtà avvenivano spesso dopo la morte dei malcapitati: sì, perché prima di smembrarli e mangiarne i corpi, il buon Jeffrey doveva soddisfare i suoi istinti necrofili.
L’attività criminale si intensificò quando il biondino prese un appartamento tutto per sé a Milwaukee, e fu proprio qui che una delle sue vittime riuscì a fuggire e ad avvertire la polizia.
Infatti il 22 luglio 1991 Dahmer invitò Tracy Edwards nella sua abitazione, dove gli fu somministrata una dose di sonnifero, fu ammanettato ad un braccio e costretto ad entrare nella stanza da letto. Accortosi della presenza di foto di cadaveri smembrati appese ai muri e di un odore insopportabile proveniente da un barile, Edwards colpì l’aggressore e fuggì dall’appartamento.
Fermato da una pattuglia della polizia, con la propria versione convinse gli agenti ad andare a controllare l’appartamento di Dahmer, all’interno del quale furono ritrovati numerosi resti di cadaveri conservati nel frigorifero, alcune teste e mani tagliate di netto all’interno di pentole, teschi umani dipinti, peni conservati in formaldeide e fotografie di cadaveri squartati.
La carriera di Jeffrey Dahmer si concluse qui, dopo 17 omicidi. Il 13 luglio 1992 fu condannato alla pena dell’ergastolo per ogni omicidio commesso, totalizzando 957 anni di prigione. In seguito ad un’aggressione subita in carcere il 3 luglio 1994 morì durante il trasporto in ospedale a causa del trauma cranico riportato. Il suo cervello fu in seguito prelevato e conservato per studi scientifici.
E' severamente vietato copiare i contenuti de "La Nona Porta" senza citare la fonte.