Antonio Boggia (Urio, 23 dicembre 1799[ – Milano, 8 aprile 1862[), soprannominato il “Mostro di Stretta Bagnera” o il “Mostro di Milano”, viene considerato il primo assassino seriale italiano. Antonio Boggia all’età di venticinque anni ebbe i primi problemi con la giustizia in seguito ad una denuncia per truffa e a numerose cambiali non pagate. Fuggì […]
Antonio Boggia (Urio, 23 dicembre 1799[ – Milano, 8 aprile 1862[), soprannominato il “Mostro di Stretta Bagnera” o il “Mostro di Milano”, viene considerato il primo assassino seriale italiano.
Antonio Boggia all’età di venticinque anni ebbe i primi problemi con la giustizia in seguito ad una denuncia per truffa e a numerose cambiali non pagate. Fuggì nel Regno di Sardegna, dove subì un ulteriore processo a causa di una rissa e di un tentato omicidio. Incarcerato, approfittò di una rivolta per fuggire e tornare nuovamente nel Lombardo Veneto. Si trasferì a Milano facendosi assumere, a Palazzo Cusani sede del comando militare austriaco, in veste di fochista.
Nel 1831 si sposò e andò a vivere con la consorte in uno stabile di proprietà di Ester Maria Perrocchio, che sarà una delle sue vittime. Antonio Boggia cominciò a uccidere nell’aprile del 1849, la prima vittima fu Angelo Ribbone, derubato di 1.400 svanziche, il cadavere quindi venne smembrato e nascosto nel suo scantinato nella Stretta Bagnera. Il 26 febbraio 1860 Giovanni Murier denuncia la scomparsa della madre Ester Maria Perrocchio, di 76 anni.
Il giudice Crivelli si occupò delle indagini, scoprendo l’esistenza di una falsa procura, stipulata dal notaio Bolza di Como, che investiva Antonio Boggia del ruolo di amministratore unico dei beni della donna. Si scoprì anche un precedente del Boggia che nel 1851 aveva tentato di uccidere con un’ascia un suo conoscente, Giovanni Comi. Boggia venne condannato dalla giustizia austriaca a tre mesi di manicomio criminale e poi ritornò libero.
In seguito alla denuncia di scomparsa si aggiunse la testimonianza dei vicini che avevano visto Antonio Boggia armeggiare con sacchi da muratore, mattoni e sabbia in un magazzino. La perquisizione del luogo fece scoprire, murato in una nicchia il cadavere della donna. In una scrivania nell’appartamento del Boggia vennero trovate altre due procure. Nella prima, Angelo Serafino Ribbone, manovale e suo compaesano, lo autorizzava a prelevare i propri averi presso un’anziana zia di Urio. Dell’uomo si erano perse le tracce. Nella seconda procura, il ferramenta Pietro Meazza incaricava Antonio Boggia di vendere la sua bottega ed una cantina sita in via Bagnera. Anche questo personaggio non era più rintracciabile. Un’ispezione nella cantina portò ad un risultato sconcertante: i cadaveri rinvenuti nel sotto pavimento erano tre anziché i due cercati dai carabinieri. Dopo molte ricerche fu possibile attribuire i resti del terzo corpo a Giuseppe Marchesotti, commerciante di granaglie all’ingrosso, anche lui assassinato da Antonio Boggia. Durante il processo che ne seguì confessò gli omicidi e cercò fino all’ultimo di fingersi pazzo. Venne giudicato colpevole e condannato a morte per impiccagione.
La sentenza fu resa esecutiva l’8 aprile 1862. Fu l’ultima condanna a morte di un civile eseguita a Milano fino alla Seconda Guerra Mondiale. Il corpo decapitato di Antonio Boggia fu sepolto nel cimitero del Gentilino mentre la testa fu messa a disposizione del Gabinetto Anatomico dell’Ospedale Maggiore su richiesta del dott. Pietro Labus e successivamente affidato al padre della criminologia, Cesare Lombroso.
Fonte: Wikipedia
E' severamente vietato copiare i contenuti de "La Nona Porta" senza citare la fonte.