Un omicidio diventa ancora più inspiegabile quando le violenze comminate alla vittima risultano in qualche modo superflue, quando per raggiungere il proprio scopo basterebbe un colpo invece di venti e, soprattutto, quando un tale atto manca di un qualsiasi interesse di tipo economico o sentimentale. Insomma, in assenza di un movente qualsiasi crimine appare ai […]
Un omicidio diventa ancora più inspiegabile quando le violenze comminate alla vittima risultano in qualche modo superflue, quando per raggiungere il proprio scopo basterebbe un colpo invece di venti e, soprattutto, quando un tale atto manca di un qualsiasi interesse di tipo economico o sentimentale. Insomma, in assenza di un movente qualsiasi crimine appare ai nostri occhi ancor più grave.
Questo può essere – ma solo in apparenza – il caso dei serial killer, i quali però trovano il proprio movente nel passato, nelle violenze e nelle sofferenze subite. La storia di Ramadan Abdel Mansour inizia proprio così: da piccolo viene stuprato, picchiato e lanciato dal tetto di un treno da un bullo di quartiere, che nella sua età adulta riuscirà ad imitare alla perfezione.
Ramadan nasce nel 1980 a Tanta, in Egitto, dove presto si trasforma da vittima a carnefice. Ha appena 19 anni quando, più robusto di un tempo, diviene consapevole della propria forza… soprattutto se paragonata a quella dei bambini. Le sue vittime designate hanno tra i 10 e 14 anni, sono minute, deboli e non hanno alcuna speranza di sfuggirgli.
Per Mansour non è un problema trovare i bambini: il Cairo e Alessandria d’Egitto sono colme di ragazzini senza famiglia, senza una guida. Lui prende con la forza, schiaffi, pugni e calci non sono mai abbastanza; poi li violenta, ma le prime due fasi possono considerarsi la parte più dolce del racconto.
Il gangster egiziano non si ferma, non si acconta. Alcuni dei 32 bambini che hanno subito le sue violenze finiscono sotto terra, sepolti vivi; altri vengono gettati nel Nilo e altri ancora si ritrovano sul tetto di un treno e presto vedranno la terra comprimere il loro volto. Forse qualcuno perderà l’uso di un arto, qualcun altro finirà con un occhio lesionato, proprio come accadde a Ramadan.
La sua storia si avvia verso il finale, perché nel 2006 viene arrestato e condannato alla pena capitale. Al-Tourbini (il treno espresso, così soprannominato) viene giustiziato l’anno seguente e la sua figura diviene così popolare tanto da battezzare un panino, l’al-Tourbini sandwich e ad alcuni dei tanti tuk tuk che sfrecciano per le città d’Egitto.
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