Nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, sulle colline della Val Bisagno ebbe inizio una serie di omicidi tuttora avvolti nel mistero o quantomeno celati dal velo di inchieste mai concluse e da un indulto che mise fine alla caccia al Mostro di Bargagli. È il 1945, con un conflitto in pieno corso tra nazifascisti […]
Nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, sulle colline della Val Bisagno ebbe inizio una serie di omicidi tuttora avvolti nel mistero o quantomeno celati dal velo di inchieste mai concluse e da un indulto che mise fine alla caccia al Mostro di Bargagli.
È il 1945, con un conflitto in pieno corso tra nazifascisti e partigiani i morti ormai non fanno più notizia. Eppure in questo periodo ci sono alcuni decessi che non convincono, avvenuti nel contesto della guerra ma non necessariamente ad essa legati.
Il 19 aprile di quell’anno un reparto tedesco giunge fino ai boschi circostanti il paesino di Bargagli. Qui non saranno soli: di fronte a loro una spedizione di partigiani riesce a sconfiggere il nemico a suon di mitra. A quanto pare, i tedeschi trasportavano un ricco tesoro sottratto alle banche durante quei turbolenti giorni di guerra, così i novelli partigiani (diventati tali sono cinque giorni prima della Liberazione) decidono di appropriarsi del malloppo e di spartirselo in seguito.
Ora è bene fare un appunto su questo particolare gruppo di partigiani. Tra loro c’erano i membri della cosiddetta Banda dei Vitelli, un’organizzazione criminale che in quei tempi di carestia gestiva il mercato nero della carne e che un anno prima da quell’evento si rese responsabile della tortura e della morte dell’appuntato Carmine Scotti, carabiniere che tentò di sgominare il traffico illegale. Gli stessi membri della banda, avendo alle calcagna gli inquirenti e in vista della vittoria delle forze partigiane, ritennero vantaggioso allearsi a queste.
Tornando al 1945, quei componenti della squadra “rossa” (nonché Banda dei Vitelli) si danno appuntamento in una villa isolata per dividersi il tesoro dei tedeschi, tuttavia in quattro non ne escono vivi, uccisi da colpi di mitra. In modo piuttosto eclatante, durante la festa in onore della Liberazione appena avvenuta, altri quattro membri della banda perdono la vita a causa di una bomba anticarro. Le fette da spartirsi di quel tesoro diventano ancora più cospicue.
Nel 1946 il clima è più tranquillo, così le autorità avviano l’inchiesta sulla morte del carabiniere Scotti. Si è nell’immediato dopoguerra e il Partito Comunista non accetta che venga messa in dubbio l’onestà dei partigiani, scatenando polemiche e infine portando all’archiviazione del caso.
Nel 1961 viene trovato con il cranio fracassato a sprangate Federico Musso, ex membro della banda e partigiano. Si dice perché parlasse troppo. L’omicidio, però, provoca non poche chiacchiere in paese tra i numerosi componenti dell’organizzazione, che in qualche modo cominciano ad esternare le proprie preoccupazioni.
1969 – Maria Balletto, partigiana, muore con il cranio rotto da una spranga.
1971 – Cesare Moresco, partigiano, muore con il cranio rotto da una spranga.
Nello stesso anno del decesso di Moresco, qualcuno tenta di uccidere a colpi di spranga anche Maria Ricci, partigiana; tuttavia la donna non muore… ma neanche parla. Stesso destino per Gerolamo Canobbio, il quale sopravvive e non parla; morirà qualche anno dopo… anche lui con il cranio fracassato.
Negli anni tra la prima morte attribuita al Mostro di Bargagli (1944) e l’ultima (1985), diverse sono state le inchieste sulla serie di violenti decessi, tuttavia nessuna di queste è riuscita a vedere la propria conclusione a causa delle forti influenze politiche e addirittura di un indulto firmato dalla mano di Luidi Einaudi nel 1953.
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