Per fortuna grazie alla tecnologia sempre più avanzata e alla grande preparazione dei medici ormai il terrore di essere sepolti vivi non esiste più. Per chi in passato e anche in tempi più recenti avesse vissuto episodi di una condizione chiamata catalessi, detta anche morte apparente, il pericolo di essere sepolto vivo era da prendere […]
Per fortuna grazie alla tecnologia sempre più avanzata e alla grande preparazione dei medici ormai il terrore di essere sepolti vivi non esiste più. Per chi in passato e anche in tempi più recenti avesse vissuto episodi di una condizione chiamata catalessi, detta anche morte apparente, il pericolo di essere sepolto vivo era da prendere in seria considerazione. Questo particolare stato del corpo presenta una rigidità muscolare incontrollata, spesso legata a episodi di catatonia, ma per fortuna negli ultimi tempi e con gli innumerevoli progressi la scienza è stata in grado di distinguere la morte apparente dalla morte clinica.
Nei secoli XVIII e XIX vi è stato l’apice dell’attenzione per il fenomeno della morte apparente, sia nella trattatistica medica che nella letteratura. Purtroppo, come già detto in precedenza, a quei tempi questo fenomeno non era chiaro e quindi non vi era certezza se il decesso fosse “definitivo” o meno, e ignari del fatto che la catalessi comporta anche un’insensibilità al dolore che si protrae per tutta la durata dell’episodio si sperimentarono tantissimi metodi per accertarsi della reale morte del soggetto.
Una delle prime soluzioni che venne in mente per contrastare la tafofobia fu quella di creare un “ospedale per i morti”: la Royal Humane Society, che fu creata come Società per la Rianimazione di Persone Apparentemente Morte. Qui i corpi erano tenuti sotto osservazione per un paio di giorni, per assicurarsi che il paziente fosse realmente deceduto.
Ma la paura di questa orrenda fine portò ad infliggere sui soggetti che si riteneva potessero non essere realmente morti delle vere e proprie torture sotto forma di “test di insensibilità”: al malcapitato venivano rotte le dita, sottoposto a clisteri di fumo di tabacco, oppure veniva versato aceto e sale o urina calda nella sua bocca. Altro metodo folle era quello di mettere insetti nelle orecchie o tagliare le piante dei piedi con delle lame, e non sapendo dell’inefficacia di tali metodi, ci fu la convinzione che se il “defunto” non si fosse svegliato durante questi trattamenti, non vi era nessun rischio di seppellirlo vivo. Per i casi estremi però, alcuni fantasiosi inventori progettarono le “bare di sicurezza”, dotate di corno o campana, che dovevano servire ad avvisare le persone al di sopra del suolo che il sepolto non era morto. Altri modelli erano dotati addirittura di un kit, comprendente una scorta di veleno, Il quale in caso di risveglio doveva assicurare una morte veloce, nel caso il malcapitato non riuscisse a farsi sentire.
La Nona Porta
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