Nikolaj Džhurmongaliev, noto anche come Metal Fang (Uzun-Agach, 15 novembre 1952), è un assassino seriale kazako. Sarebbe uno dei peggiori killer dell’ex area sovietica insieme ad Andrej Chikatilo e Gennadij Michasevič (che tratteremo in seguito). Avrebbe commesso circa 47 o 50 omicidi con efferati atti di cannibalismo. Nikolaj Dzhurmongaliev (in cirillico: Николай Джумагалиев), nacque nel 1952 […]
Nikolaj Džhurmongaliev, noto anche come Metal Fang (Uzun-Agach, 15 novembre 1952), è un assassino seriale kazako. Sarebbe uno dei peggiori killer dell’ex area sovietica insieme ad Andrej Chikatilo e Gennadij Michasevič (che tratteremo in seguito). Avrebbe commesso circa 47 o 50 omicidi con efferati atti di cannibalismo.
Nikolaj Dzhurmongaliev (in cirillico: Николай Джумагалиев), nacque nel 1952 nella zona di Alma-Ata, in Kazakista (fino al 1989, anno della caduta del Muro di Berlino, lo stato kazako apparteneva all’URSS e non era uno stato a sé) il padre era kazako e la madre era russa. Purtroppo della sua infanzia non si conosce nulla. Nel corso degli anni perse alcuni denti dell’arcata anteriore e se ne fece impiantare alcuni finti in metallo bianco: da qui gli deriva il soprannome “Metal Fang”.
Conosciuto come una persona educata, solitaria, con una calma insolita e un’aria di quiete; aveva una buona parlantina e curava molto il suo aspetto esteriore ed il suo vestiario. In poche parole, era un gentiluomo. Ma, se veniva provocato, era in grado di sferrare colpi con molta violenza. Sottolineava la sua superiorità agli altri facendosi chiamare come “un discendente del Gengis Khan“.
Faceva molte passeggiate in un parco vicino alla riva di un fiume ed entrava in relazione con molte donne che incontrava.
Compì il suo primo omicidio nel 1970: smembrò una vittima e ne buttò i pezzi in un barile; l’anno dopo compì il secondo: la vittima stava tornando a casa dopo le preghiere serali e venne trovata morta con dei grossi tagli sul corpo. Venne arrestato e trascorse almeno un anno in cella; la polizia era al corrente solo del secondo omicidio. L’esame di un istituto psichiatrico lo descrisse come uno schizofrenico ed un folle.
Dopo la scarcerazione iniziò a lavorare come operaio in un sito vicino ad Alma-Ata.
Tutti gli altri omicidi partirono dal 1980 e terminarono al suo arresto avvenuto un anno dopo, nel 1981: era il periodo della Guerra Fredda e dei Giochi Olimpici di Mosca. La zona colpita fu la Repubblica del Kyrgyzstan. Le sue vittime erano donne che venivano avvicinate in un parco locale quando faceva buio; lì le stuprava e le uccideva con un’ascia o un coltello che portava sempre con sé; erano scelte in base a quanto fossero attraenti secondo lui. Il cadavere veniva poi macellato e alcune parti Džurmongaliev le metteva in un sacco per portarsele a casa, per cucinare dei piatti etnici che mangiava, oppure offriva agli amici durante le cene che organizzava, molto spesso queste “serate” avvenivano poco tempo dopo l’omicidio. Pare che il fatto di vedere delle persone ignare che mangiavano la carne umana lo eccitasse sessualmente.
Avrebbe ucciso perché detestava fin da piccolo le donne e le prostitute; pensava che fossero “la radice di ogni male e cosa sbagliata presente nel mondo”; in particolare detestava quelle europee, che conobbe nel periodo in cui fece il militare: gli sembravano “troppo libere e sciolte a differenza di quelle del suo paese e molto diverse dai suoi ideali”. Non si conosce il movente del suo cannibalismo.
Modus operandi descritto in alcuni documenti ufficiali: in quest’occasione, si nascose dietro a delle rocce in attesa che qualcuno gli passasse vicino; trovata la vittima ideale, saltò fuori e la uccise con una coltellata sul collo. Dopo che ne bevve il sangue la portò in una discarica e, lontano da occhi indiscreti, ebbe un rapporto sessuale con il cadavere. Quando finì, lo smembrò in vari pezzi; una parte la seppellì; l’altra parte la portò con sé per cucinarla.
Ecco invece l’assassino come, in maniera fredda descrive uno dei suoi omicidi: “Ho sempre amato la caccia, e andavo a caccia spesso, ma quella era la prima volta che cacciavo una donna… Ho sentito l’eccitazione martellare dentro di me e mi sono avvicinato. Lei ha udito i miei passi e si è voltata, ma io le sono corso incontro e l’ho afferrata per il collo, trascinandola verso la discarica. Fece resistenza, così le ho tagliato la gola con il coltello. Poi ho bevuto il suo sangue. A questo punto, dal villaggio è apparso l’autobus della fabbrica. Mi schiacciai a terra, accovacciato accanto al cadavere.
Mentre rimanevo immobile, le mie mani diventarono fredde. Quando l’autobus è sparito, ho scaldato le mani sul corpo della donna e l’ho spogliata, diventando il suo macellaio. Ho tagliato i seni del cadavere insieme a strisce di grasso, tagliato le ovaie, separato bacino e fianchi. Poi ho infilato tutti questi pezzi nello zaino e li ho portati a casa. Ho sciolto il grasso, e con un po di sale l’ho mangiato come pancetta. Una volta ho usato un tritacarne per farla fine, e ho fatto delle polpette. Ho mangiato tutta la sua carne da solo, non l’ho offerta a nessun ospite. Due volte ho fritto cuore e reni. […] Ho mangiato la carne di questa donna per circa un mese”.
Nel 1981 due ubriachi, che il killer invitò in casa con la promessa di dargli da mangiare “uno spuntino”, si recarono in cucina e trovarono nel frigorifero la testa decapitata di una donna ed il suo intestino. Scapparono dalla casa in stato di confusione ed allertarono subito la polizia, che lo arrestò il giorno successivo. Venne collegato a 100 omicidi e divenne fortemente sospettato di almeno 47 o 50 di questi.
Al processo gli vennero accertati 7 dei 47 omicidi di primo grado e fu confinato in un istituto mentale a Tashkent; il giudice aveva stabilito che aveva bisogno di cure mediche obbligatorie in quanto malato di mente. Il killer provò a suicidarsi due volte perché non sopportava il fatto di essere confinato in quel luogo.
Dopo alcuni anni, una visita medica confermò che il suo stato mentale stava migliorando costantemente e che non essendo più un pericolo per la società lo si poteva trasferire in un altro istituto. Nel 1989, proprio durante il trasferimento, scappò dalla custodia, composta unicamente da un infermiere e vagò per due anni tra le montagne spacciandosi per uno straniero cinese.
Nell’ agosto 1991 venne nuovamente arrestato a seguito della segnalazione di una donna mentre si trovava a Fergana, in Uzbekistan; la polizia di Mosca stava cercando già da tempo un “fantomatico cinese”.
Non si sa se, durante quest’arco di due anni, abbia fatto altre vittime.
Dopo avere trascorso alcuni anni in un altro istituto mentale nell’Uzbekistan, è stato liberato nel gennaio 1994; vive tuttora con i parenti da qualche parte nell’Europa orientale.
Fonte: Wikipedia, http://www.emanuelepunzo.com/
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