Fiume Giallo noto anche come Hwang Ho, (in italiano fiume Giallo), è il principale fiume della Cina settentrionale, spesso chiamato la culla della civiltà cinese. È il secondo fiume più lungo del Paese, con una lunghezza di 5464 km, e il suo bacino idrografico è il terzo più grande della Cina. Il fiume serpeggia per una […]
Fiume Giallo noto anche come Hwang Ho, (in italiano fiume Giallo), è il principale fiume della Cina settentrionale, spesso chiamato la culla della civiltà cinese. È il secondo fiume più lungo del Paese, con una lunghezza di 5464 km, e il suo bacino idrografico è il terzo più grande della Cina.
Il fiume serpeggia per una trentina di chilometri fino a che un’ansa non lo rallenta: poco più a valle incontra la centrale idroelettrica di Liujiaxia, con la sua diga che fa da sbarramento per la melmosa corrente. Ed è lungo il suo corso che gli uomini sulle barche esplorano, nella nebbia mattutina, la spazzatura intercettata e ammassata lì dalla diga: raccolgono le bottiglie di plastica per rivenderle al riciclo, ma il prezzo per un chilo di materiale si aggira intorno ai 3 o 4 yuan, vale a dire circa 50 centesimi di euro.
Quello per cui aguzzano gli occhi nella luce plumbea è un altro, più allettante bottino. Cercano dei cadaveri portati fino a lì dalla corrente.
Purtroppo il boom economico e demografico della Cina, senza precedenti, ha necessariamente un suo volto oscuro. Centinaia e centinaia di corpi umani raggiungono ogni anno la diga. Si tratta per la maggior parte di suicidi legati al mondo del lavoro: persone, molto spesso donne, che arrivano a Lanzhou dalle zone rurali affollando la città in cerca di un impiego, e trovano concorrenza spietata, condizioni inumane, precarietà e abusi da parte dei capi. La disperazione sparisce insieme a loro, con un tuffo nella torbida corrente del Fiume Giallo.
Un tempo, quando un barcaiolo recuperava un cadavere dal fiume, lo portava a riva e avvisava le forze dell’ordine. Talvolta, se c’erano dei documenti d’identità sul corpo, provava a contattare direttamente la famiglia; era una questione di etica, e la ricompensa stava semplicemente nella gratitudine dei parenti della vittima. Ma le cose sono cambiate, la povertà si è fatta più estrema: di conseguenza, oggi ripescare i morti è diventata un’attività vera e propria. Qui un singolo pescatore può trovare dai 50 ai 100 corpi in un anno.
Sempre più giovani raccolgono l’eredità di questo spiacevole lavoro, e scandagliano quotidianamente l’ansa del fiume con occhio esperto; quando trovano un cadavere, lo trascinano verso la sponda, facendo attenzione a lasciarlo con la faccia immersa nell’acqua per preservare il più a lungo possibile i tratti somatici. Il cadavere viene portato in un punto preciso, una grotta o un’insenatura, legato con delle corde vicino agli altri corpi in attesa d’essere identificati.
Per i parenti di una persona scomparsa a Lanzhou, sporgere denuncia alla polizia spesso non porta da nessuna parte, a causa dell’enorme densità della popolazione; così i famigliari chiamano questi pescatori, chiedendo se abbiano trovato qualche corpo che corrisponde alla descrizione del loro caro. Nei casi in cui l’identità sia certa, possono essere gli stessi pescatori ad avvisare le famiglie.
A questo punto il parente si reca sul fiume, dove avviene il riconoscimento: ma l’iter che ne segue ha un costo: occorre pagare per salire sulla barca, e pagare per ogni cadavere che gli uomini rivoltano nell’acqua per vederne il volto; ma il costo più alto è quando si riconosce la persona morta, e si vuole recuperarne i resti.
Normalmente il prezzo varia a seconda della persona che paga per riavere le spoglie, o meglio dal suo reddito desunto: se i pescatori si trovano davanti un contadino, la richiesta si mantiene al di sotto dell’equivalente di 100 euro. Se a reclamare il corpo è un impiegato, il prezzo sale a 300 euro, e se è una ditta a pagare per il recupero si può arrivare anche sopra i 400 euro.
Nonostante le lamentele della gente sulla immoralità di questo traffico, i pescatori di cadaveri si difendono sostenendo che si tratta di un lavoro che nessun altro farebbe e che in definitiva il loro è un servizio utile, per il quale è doveroso un compenso.
Così anche la polizia tollera questa attività, per quanto formalmente illegale.
Nel caso poi un cadavere non venga mai identificato, o sia rimasto troppo a lungo in acqua e quindi impossibile da riconoscere, i pescatori lo riaffidano alla corrente. I filtri della centrale idroelettrica lo tritureranno insieme agli altri rifiuti per poi rituffarlo dall’ altra parte della diga, mescolato e ormai tutt’ uno con l’acqua.
Fonte: Wikipedia, Bizzaro bazar
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