Lo strano caso di cannibalismo legato alla figura di James S Jameson, un discendente del fondatore dell’omonima azienda produttrice di Whisky, creò una diatriba letteraria e giudiziaria alla fine del XIX secolo. Anche chiamato il “Jameson Affair“, la storia cominciò nel 1886, quando Jameson si recò in Africa per un viaggio esplorativo. I protagonisti principali James S Jameson […]
Lo strano caso di cannibalismo legato alla figura di James S Jameson, un discendente del fondatore dell’omonima azienda produttrice di Whisky, creò una diatriba letteraria e giudiziaria alla fine del XIX secolo. Anche chiamato il “Jameson Affair“, la storia cominciò nel 1886, quando Jameson si recò in Africa per un viaggio esplorativo.
I protagonisti principali
James S Jameson era un erede della Jameson Irish Whiskey. Assad Farran era un traduttore siriano, che accompagnò Jameson nel suo viaggio attraverso quella che un tempo era considerata la “misteriosa Africa Nera”. Sir Henry Morton Stanley era un giornalista inglese al servizio del Re del Belgio, che fu reggente del Congo su delega regale.
Dove si trovavano?
Uno dei pochi dettagli dell’episodio che sarebbe privo di dubbi è il luogo dove la vicenda ebbe inizio. Jameson si trovava con Tippu Tip (un famoso commerciante di schiavi) e il suo traduttore Assad Farran a Ribakiba (o Ribaruba o Riba Riba, a seconda della fonte) ora conosciuto come Lokandu, un villaggio nella Repubblica democratica del Congo, al centro dell’Africa. All’epoca Ribakiba era una fermata di passaggio sul fiume Lualaba, una delle arterie fluviali principali del Congo. La città era una tappa importante di schiavi e commercio di avorio, una città di frontiera senza legge e nessuno che la amministrasse. La comitiva si trovava lì alla ricerca di facchini, e ne trovarono ben 400.
Perché erano lì?
Gli uomini erano parte della Emin Pascià Relief Expedition. L’obiettivo dichiarato della spedizione era quello di ampliare gli insediamenti africani belgi, per sopperire al desiderio di conquista di Re Leopoldo, un avidissimo monarca che fece del Congo la propria terra di conquista e fonte di ricchezze, uccidendo milioni di elefanti per l’avorio e due milioni di congolesi, a causa della realizzazione delle infrastrutture per l’estrazione e il commercio della gomma. Sir Henry Morton Stanley raggiunse la comitiva solo qualche tempo dopo la sua costituzione, ma trovò una situazione difficile a causa delle pessime condizioni di salute degli uomini di servizio. In ogni caso, la spedizione lasciò Zanzibar per il cuore dell’Africa il 25 febbraio 1886.
Affidavit di Assad Farran – L’accusa pubblicata sul Loudoun Times
Farran raccontò nei dettagli l’esperienza del campo di Yambuya, dove la spedizione si era stabilita, spiegando come le condizioni per gli uomini di servizio (anche detti schiavi) fossero disumane. Inoltre, l’interprete raccontò come, a Ribakiba, Jameson si era detto curioso circa la pratica del cannibalismo, che credeva essere cosa comune tra i nativi. Nel suo affidavit Farran afferma che la pratica era davvero abbastanza comune, ma la veridicità storica dei fatti è tutta da provare.
Il rito
Ad ogni modo, Jameson voleva vedere con i propri occhi un rito cannibalistico, e pagò sei fazzoletti per acquistare una bambina di 10 anni. Questo particolare della storia sarà privo di controversie, confermato anche dalla tesi di difesa. Insieme ad un gruppo di uomini portò la bambina ad un rifugio di cannibali. Attraverso l’interprete, Jameson affermò: “Questo è un regalo da un uomo bianco, che desidera vederla mangiata”.
La ragazza venne legata ad un albero, e le venne tagliato il ventre per due volte. Rimase in silenzio mentre il sangue le sgorgava dall’addome, ormai rassegnata al proprio destino. Quando infine morì dissanguata, fu tagliata a pezzi dagli uomini che l’avevano uccisa, e successivamente mangiata come un animale.
I disegni
Farran affermò che Jameson disegnò sei tavole per descrivere e ricordare tutto l’episodio. La prima raffigurava la ragazza che veniva portata via, in quello seguente l’accoltellamento, il terzo le operazioni di tagli e gli ultimi tre descrivevano gli indigeni che mangiavano la carne.
La risposta di Jameson
Una lettera di Jameson apparse sul New York Times il 15 novembre 1890. La sua difesa fu fatta dalla moglie dopo la sua morte, e consisteva di una lettera che Jameson aveva scritto a Sir William McMackinnon. La lettera era stata redatta in punto di morte alle Stanley Falls, avvenuta il 3 agosto 1888. Stranamente evidenziava alcuni piccoli dettagli dell’accusa che sarebbero venuti alla luce solo due anni dopo, quando Farran pubblicò la sua missiva.
Jameson descrisse gli eventi come se fossero stati molto meno sotto al suo controllo. Affermò che fu condotto ad una cerimonia tribale di cannibalismo, nella quale vide la ragazza fatta a pezzi. I
I sei fazzoletti
Jameson disse inoltre che non voleva credere al cannibalismo, e che Tippu, il mercante di schiavi, gli chiese sei fazzoletti per dimostrargli il contrario. A questo punto della storia viene da chiedersi perché Jameson avesse con sé precisamente sei fazzoletti, essendo nel bel mezzo dell’Africa Nera, ma questa congettura la si lascia spiegare all’intelligenza del lettore. Jameson affermò nella lettera che successe tutto troppo in fretta per poter ripiegare sulle sue posizioni, e che non gli restò che assistere alla cerimonia.
La verità Probabile
All’epoca dei fatti l’Europa era incontrastata conquistatrice delle terre africane (scenario nel quale anche l’Italia scrisse pagine di sangue) e gli Europei vedevano gli africani come merce di scambio, non certo come persone. La probabilità che un ricco nobile belga considerasse la vita di una ragazza congolese di qualsiasi valore era assai scarsa, e sicuramente inferiore alla curiosità di vedere compiuta una cerimonia tanto macabra quanto inusuale per un europeo.
I dettagli che fornisce la lettera del New York Times sono d’altronde troppo “precisi” per esser stati scritti prima di morire, e rispondono a punti ben definiti della lettera accusatoria di Assad Farran. Questa discolpa così marcatamente falsa ci rende oscura la verità dei fatti perché, anche quando il racconto di Farran fosse falso, la risposta lo è sicuramente molto di più, e impedisce al lettore di intuire una verità diversa da quella dell’interprete siriano.
Assad fu poi obbligato a sconfessare da Sir Francis de Winton, in una dichiarazione che affermava che la storia era falsa. De Winton era allora l’amministratore generale del Congo, ed era obbligato a mantenere questo tipo di “questioni” assolutamente segrete.
Fonti:
Leopoldo III del Belgio su Wikipedia
Henry Morton Stanley su Wikipedia
The Inquisition.eu e la storia del cannibalismo di James Jameson